UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VENEZIA 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
Nel procedimento Rgnr n. 1755/2011 - Rg.GdP 886/2015, 
 
                              Premesso 
 
    - che si procede  penalmente  nei  confronti  di  C.  M.  nata  a
Chioggia il ... per i fatti di cui alla seguente imputazione: 
      «Dei reati p. e p. dagli  articoli  81,  594,  595  del  codice
penale perche' in attuazione di un medesimo disegno  criminoso  nella
sua  qualita'  di  dirigente  scolastico  dell'Istituto   Comprensivo
Statale Querini di Mestre Venezia,  accusava  l'alunno  F.  Z.,  alla
presenza dei suoi compagni di classe e poi nel corso di un  colloquio
al quale partecipava lo stesso Z. la sig.ra A. O. F., la nonna M. Z.,
nonche' l'insegnante di italiano prof L. S., di essersi masturbato in
classe davanti agli altri alunni, circostanza non veritiera, e  cosi'
facendo ledeva la reputazione dello  stesso  Z.  F.  e  ne  offendeva
altresi' l'onore e il decoro. In Mestre il 13 marzo 2011»; 
    - che la fattispecie di reato di cui al procedimento  in  oggetto
riguarda il reato di ingiurie ex art. 594  codice  penale  (oltre  al
reato di diffamazione ex  art.  595  codice  penale),  che  e'  stato
abrogato dall'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15
gennaio 2016 quale norma attuativa della legge delega n.  67  del  28
aprile 2014, art. 2, comma 3°; 
 
                             Considerato 
 
    -  che  il   giudice   procedente   dubita   della   legittimita'
costituzionale delle norme che hanno abrogato il  suddetto  reato  di
ingiuria punito dall'art. 594 codice penale; 
    Tanto premesso il giudice remittente osserva quanto segue. 
1 - Inquadramento normativo. 
    L'oggetto del giudizio riguarda il reato di ingiuria  previsto  e
punito dall'art. 594 codice  penale  Tale  reato  e'  stato  abrogato
dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15  gennaio
2016 quale norma attuativa della legge delega n.  67  del  28  aprile
2014, art. 2, comma 3. Di tali norme abrogative il remittente  dubita
della legittimita' costituzionale.  Il  testo  dell'art.  594  codice
penale cosi' disponeva: 
      «Chiunque offende l'onore o il decoro di una  persona  presente
e' punito con la reclusione fino a sei mesi o con  la  multa  fino  a
euro 516. 
    Alla  stessa  pena  soggiace  chi  commette  il  fatto   mediante
comunicazione telegrafica o telefonica,  o  con  scritti  o  disegni,
diretti alla persona offesa. 
    La pena e' della reclusione fino a un anno o della multa  fino  a
euro  1.032  se  l'offesa  consiste  nell'attribuzione  di  un  fatto
determinato. 
    Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in  presenza
di piu' persone». 
    Nel procedimento avanti al Giudice di Pace il suddetto reato  era
punito con la multa da euro 258,00  fino  ad  euro  2.582,00  ed  era
inserito nel Capo II, Titolo XII  del  Libro  II  del  codice  penale
riguardante i delitti contro l'onore.  L'onore  costituisce  uno  dei
beni fondamentali della persona  umana  riconosciuto  tra  i  diritti
inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione, nei quali
sono compresi il diritto alla vita,  all'incolumita'  fisica  e  alla
liberta'  personale.  La  stessa  Corte  costituzionale  infatti   lo
annovera  tra  i  beni  e  gli  interessi   inviolabili   in   quanto
essenzialmente connessi con la persona umana (Corte costituzionale n.
86/1972 e n. 38/1973). 
    Si tratta quindi di un bene  giuridico  ascritto  nel  rango  dei
diritti   essenziali,   assoluti,   personali,   non    patrimoniali,
inalienabili, intrasmissibili, imprescrittibili, originari e  innati,
ed e' estrinsecazione, nelle societa' democratiche, del  fondamentale
principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani che trova  le  sue
profonde radici nel principio del rispetto per ogni persona, per ogni
essere umano, senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione,  di  opinioni  politiche,  di  condizioni  personali  e
sociali. 
    In tale contesto il legislatore e' intervenuto  emanando  le  due
richiamate  leggi  ordinarie  che  hanno  abrogato  la  norma  penale
preposta alla tutela  del  suddetto  bene  giuridico  tutelato  dagli
articoli 2 e 3 della Costituzione, quale  diritto  inviolabile  della
persona. 
    Il remittente dubita  quindi  della  legittimita'  costituzionale
delle suddette disposizioni normative rispetto agli articoli  2  e  3
della  Carta  Costituzionale.  Ulteriore  profilo  di  dubbio   della
legittimita'  costituzionale   delle   leggi   ordinarie   abrogative
dell'art.  594  codice  penale  va  espresso  sotto  l'aspetto  della
violazione dei principi fondamentali dell'Unione europea  alla  quale
l'Italia aderisce. L'art. 1  della  Carta  dei  Diritti  Fondamentali
dell'Unione europea statuisce che «La dignita' umana e'  inviolabile.
Essa deve essere rispettata e tutelata». La dignita', che costituisce
espressione ampia del concetti di onore,  decoro  e  rispetto,  entra
quindi nel tessuto della Carta Costituzionale attraverso gli articoli
10 e 117 come uno dei beni fondamentali da rispettare e tutelare. 
    Sotto  questo  ulteriore  profilo  il  remittente  dubita   della
legittimita' delle disposizioni normative sottoposte a scrutinio  per
la violazione degli articoli 10 e 117 della Costituzione. 
2 - Sulla rilevanza della questione. 
  2.1 - La questione di legittimita' costituzionale appare  rilevante
ai fini della decisione del presente giudizio sussistendo un nesso di
pregiudizialita' necessaria tra il giudizio a quo ed il  giudizio  di
legittimita' costituzionale. Ed invero nel vigente  quadro  normativo
il giudice di  pace  sarebbe  tenuto  a  dichiarare  di  non  doversi
procedere ex art.  129  codice  di  procedura  penale  dal  reato  di
ingiurie perche' il fatto non  e'  piu'  previsto  dalla  legge  come
reato. Tuttavia il dubbio di legittimita' costituzionale della  norma
abrogativa comporterebbe, in caso di declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale,  la   riespansione   della   rilevanza   penale   del
comportamento oggetto del reato di ingiurie con  conseguente  obbligo
per  il  giudice  di  celebrare  il  processo  e  di  verificare   in
dibattimento La sussistenza o meno della fattispecie  delittuosa  che
potrebbe comportare la condanna dell'imputato. 
    Ne consegue che la questione della costituzionalita' della  norma
abrogativa del reato di ingiuria possiede una incidenza  attuale  nel
procedimento a quo perche' ha ad  oggetto  la  norma  abrogativa  del
comportamento delittuoso in base al  quale  e'  stato  instaurato  il
presente giudizio nei confronti dell'imputato. 
  2.2 - La rilevanza della questione appare sussistere anche sotto il
profilo  delle  norme  penali  di  favore  e  precisamente  di  norme
abrogative di ipotesi  delittuose.  Il  remittente  e'  a  conoscenza
dell'indirizzo contrario alla sindacabilita' delle  norme  penali  di
favore, tuttavia lo scrivente  ritiene  che  l'applicazione  di  tale
orientamento porterebbe a conseguenze  contrarie  alla  tutela  della
Costituzione. Si deve considerare infatti che se  fosse  preclusa  la
sindacabilita' delle norme penali di favore, i dubbi di  legittimita'
costituzionale sulle norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo
e ritenute dal giudice non manifestamente infondate,  non  potrebbero
essere posti al sindacato della Corte con l'aberrante conseguenza che
le  norme  penali   di   favore   sfuggirebbero   al   controllo   di
costituzionalita'  precludendo  lo  strumento  atto  a  garantire  la
preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria. 
    Sul punto si richiama l'orientamento della  Corte  costituzionale
(espresso a partire dalla sentenza n. 148/1983) in base al  quale  e'
possibile esperire il  sindacato  di  costituzionalita'  anche  sulle
norme abrogative  o  che  escludano  la  rilevanza  penale  di  certi
comportamenti  poiche'  non  e'  possibile  concedere  l'immunita'  a
nessuna tipologia di norme della legislazione ordinaria rispetto alla
Carta Costituzionale. 
    In tal senso si e' espressa anche  la  successiva  giurisprudenza
della Corte costituzionale affermando la  sindacabilita'  delle  c.d.
norme  penali  di  favore  ovvero  di  norme  che  stabiliscano,  per
determinati soggetti od  ipotesi,  un  trattamento  penalistico  piu'
favorevole di quello  che  risulterebbe  dall'applicazione  di  norme
generali e comuni (cfr. Corte costituzionale n.  394/2006).  In  tale
decisione si e' altresi'  precisato  che  la  Corte  non  puo'  certo
configurare nuove norme penali, ma non le sono precluse «le decisioni
ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di
condotte alla sfera applicativa di una norma comune o  comunque  piu'
generale» con la sola conseguenza «dell'automatica riespansione della
norma generale o comune, dettata dallo stesso  legislatore,  al  caso
gia' oggetto di una incostituzionale  disciplina  derogatoria»  (cfr.
Corte costituzionale n. 394/2006). Sotto  tale  profilo  si  richiama
infatti la recente decisione della Corte costituzionale  nella  quale
venne dichiarata l'incostituzionalita'  della  legge  abrogativa  del
reato di associazione paramilitare, facendo rivivere  la  fattispecie
penale (cfr. Corte costituzionale n. 5/2014). 
    Alla luce di tale inquadramento il remittente ritiene quindi  che
alla Corte costituzionale non possa essere precluso lo  scrutinio  di
costituzionalita' di qualsivoglia norma costitutiva o  abrogativa  di
fattispecie emanata dal legislatore con la forma di legge ordinaria. 
3 - Sulla non manifesta infondatezza. 
    Il requisito della «non manifesta infondatezza»  della  questione
si ravvisa nell'effettiva e concreta consistenza della  questione  di
legittimita' che si esprime nei seguenti termini. 
  3.1 - Un primo aspetto di non manifesta infondatezza va  ricondotto
al fatto che le disposizioni abrogative del reato per cui e' processo
hanno determinato la fuoriuscita del bene dell'onore e del decoro dal
sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali. 
    Si osserva infatti che non ci sono  diritti  inviolabili  di  cui
all'art. 2 della Costituzione che  non  siano  protetti  anche  dalle
norme penali, proprio in virtu' della  massima  tutela  che  ad  essi
viene garantita. 
    La stessa  Corte  costituzionale  ha  infatti  ritenuto  che  gli
articoli  2,  3  e  l'art.  13,  primo  comma,   della   Costituzione
riconoscano e garantiscano i diritti  inviolabili  dell'uomo,  fra  i
quali rientrano quelli del proprio decoro, del proprio  onore,  della
propria  rispettabilita',  riservatezza,  intimita'  e   reputazione,
sanciti espressamente negli articoli 8 e 10 della Convenzione europea
sui diritti dell'uomo (cfr. Corte costituzionale n. 38/1973). 
    Inoltre i concetti di onore e di decoro,  uniti  al  concetto  di
reputazione,  costituiscono  tre   fondamentali   concetti   che   la
giurisprudenza, la dottrina e anche le  dottrine  filosofiche,  hanno
ricondotto all'essenza concettuale del valore uomo  identificato  con
il termine: dignita'. 
    Il rispetto che ho  per  gli  altri  -  scriveva  Kant  -  e'  il
riconoscimento della dignita' che e' negli altri. Ed e'  proprio  per
dare un senso al «riconoscimento della dignita' che e'  negli  altri»
che e' sorta la necessita' di tutelare normativamente la dignita'  di
ogni essere umano. Dignita' che e' tutelata come diritto fondamentale
nella Carta dei Diritti Fondamentali  dell'Unione  europea  di  Nizza
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee  del  18
dicembre 2000), che proclama nell'art. 1 che: «La dignita'  umana  e'
inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». 
    Proprio tale fonte normativa, recepita nella nostra  Costituzione
in forza degli articoli 10 e 117, riconduce il concetto  di  dignita'
nel  tessuto  costituzionale   rendendolo   un   diritto   primo   ed
irrinunciabile della persona. 
    Non solo, ma la dignita' come valore trova la  propria  implicita
affermazione  nel  principio  contenuto  nell'art.  2   della   Carta
Costituzionale dove si stabilisce che:  «la  Repubblica  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». 
    In tale contesto si deve  ritenere  che  la  tutela  dei  diritti
fondamentali ed inviolabili dell'essere umano,  dei  quali  e'  parte
fondamentale il concetto di dignita'  che  comprende  i  concetti  di
onore e di decoro, possa essere  garantita  «sia  come  singolo,  sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'»  soltanto
attraverso le norme penali, poiche' sono proprio le norme penali  che
sono  poste,  ontologicamente,  a  difesa  dei  diritti   inviolabili
dell'essere umano. 
    Diritti inviolabili dell'essere umano che debbono essere tutelati
dalle norme penali, sia per  l'efficacia  deterrente  della  sanzione
penale, che  per  l'inadeguatezza  delle  sanzioni  amministrative  o
civili  che  appaiono  inconciliabili  a  prevenire,   ricomporre   o
reprimere le condotte lesive dei diritti fondamentali. 
    Nel  caso  di  specie  il  legislatore  ha  approvato  con  legge
ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal
codice penale ed ha  introdotto  una  tutela  privatistica  del  bene
costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del  primo
comma dell'art. 594 codice penale, andando cosi' a degradare il reato
che tutela un bene di rilevanza costituzionale ad un illecito  civile
sottoposto unicamente al nuovo  istituto  della  sanzione  pecuniaria
civile (art. 4 del decreto  legislativo  n.  7/2016)  e  ledendo,  ad
avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti  a
tutela  dei  diritti  fondamentali  della   persona,   universalmente
riconosciuti. 
    Inoltre tale normativa abrogativa, che ha cancellato la rilevanza
penale di un diritto fondamentale della persona, appare incompatibile
con i principi costituzionali espressi nell'art. 10 e  nell'art.  117
della Carta Costituzionale poiche' la potesta' legislativa  e'  stata
esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza rispettare i vincoli
e i principi derivanti dagli obblighi internazionali e dalle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute,  tanto  da  violare
apertamente il principio fondamentale della dignita'  umana  espresso
nell'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea. 
  3.2 - Un secondo aspetto di non manifesta  infondatezza  e'  quello
relativo all'instaurazione di  una  difforme  tutela  sostanziale  di
fattispecie    inerenti    il    medesimo    diritto     fondamentale
costituzionalmente tutelato,  generando  la  violazione  dell'art.  3
della Costituzione. 
    Le  norme  oggetto  di  scrutinio  di   costituzionalita'   hanno
determinato, con l'avvenuta abrogazione dell'art. 594 codice  penale,
una disparita' di trattamento con fattispecie criminose  inerenti  il
medesimo diritto fondamentale costituzionalmente protetto come appare
di incontestabile evidenza nel caso di specie. 
    Ed invero l'art. 594 codice penale e  l'art.  595  codice  penale
sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo  stesso  diritto
fondamentale  della  dignita'  della  persona  composta   dall'onore,
decoro, reputazione e rispettabilita', che  trovano  identica  tutela
codificata in due articoli differenti del codice penale in  relazione
alla presenza dell'offeso (nell'ipotesi di  ingiuria)  o  all'assenza
dell'offeso (nell'ipotesi della diffamazione). 
    Con l'abrogazione del reato di ingiuria  la  tutela  del  diritto
inviolabile della dignita' nella sua declinazione dell'onore, decoro,
rispettabilita'  e'  lasciata  unicamente  alla  fattispecie  di  cui
all'art. 595 codice penale e cioe'  al  medesimo  fatto  commesso  in
assenza  dell'offeso,  con  evidente   lesione   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Le norme abrogative hanno infatti reso penalmente irrilevante  la
stessa medesima condotta punita dall'art. 595 codice  penale  qualora
questa si sia verificata in presenza dell'offeso. In altri termini se
l'offeso non e' presente c'e' il reato (di diffamazione),  mentre  se
l'offeso e' presente il reato non c'e'. 
    La lesione del principio  di  uguaglianza  espresso  dall'art.  3
della Costituzione appare, ad avviso del remittente, fondata, poiche'
nel caso di specie l'imputata  deve  rispondere  del  medesimo  fatto
avvenuto sia in presenza  dell'offeso  che  in  sua  assenza.  Appare
dunque contrario all'art. 3 della  Costituzione  che  il  legislatore
possa ritenere contemporaneamente una medesima condotta  come  lecita
(quella punita dall'art. 594 codice penale) e come  illecita  (quella
punita dall'art. 595 codice penale). 
  3.3 - Un terzo aspetto inerente la non  manifesta  infondatezza  si
manifesta in  maniera  inequivocabile  sotto  un  ulteriore  profilo.
Esaminando l'ipotesi aggravata di cui al comma 4 dell'art. 594 codice
penale che disponeva: «Le pene sono aumentate  qualora  l'offesa  sia
commessa in presenza di piu' persone», si comprende la disparita'  di
trattamento voluta dal legislatore ordinario attraverso l'abrogazione
integrale del reato di  ingiurie  e  mantenendo  pero'  il  reato  di
diffamazione. 
    La scelta di perseguire un fatto «comunicando con  piu'  persone»
in assenza dell'offeso (diffamazione) e di  non  punire  il  medesimo
fatto «commesso in presenza  di  piu'  persone»  quindi  in  presenza
dell'offeso (ingiuria),  appare  irragionevole,  discriminante  e  in
violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Basti pensare che rimane reato la lettera di lamentele inviata  a
Tizio e Caio sulle qualita' etiche di Sempronio, mentre non  e'  piu'
ipotesi  di  reato  la  lesione  dell'onore  realizzata  in  presenza
dell'offeso,  in  un  pubblico  convegno  o   in   una   trasmissione
televisiva, pronunciando le piu' turpi, offensive e  lesive  ingiurie
in presenza della persona offesa. 
    Anche sotto  quest'ultimo  profilo  il  remittente  dubita  della
legittimita' costituzionale  delle  norme  abrogative  del  reato  di
ingiuria in quanto il legislatore ha  considerato  in  modo  difforme
fattispecie che hanno  ad  oggetto  l'identico  diritto  fondamentale
costituzionalmente tutelato, andando cosi' a ledere il  principio  di
uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione. 
    Alla luce delle  ragioni  sopra  esposte  il  giudice  rimettente
ritiene di non poter prescindere dall'applicazione al caso di  specie
delle norme abrogative in  oggetto  che  si  ritiene  debbano  essere
sottoposte al vaglio di costituzionalita'.